LILIANA SEGRE
Signore e signori,
saluto con vero piacere la vostra
iniziativa di commemorazione della Giornata della Memoria, presa per altro in
un contesto di coinvolgimento e reinserimento di persone soggette a restrizione
delle libertà personali. La vostra idea di associare musica, teatro,
letteratura e memoria è originale e sicuramente condivisibile. Essa unisce
infatti aspetti fondamentali della nostra personalità: il cuore e la mente, la
sensibilità e la ragione, lo spirito e il corpo. E contro fenomeni integrali e
totali come quelli che stanno dietro la
Shoah, cioè la scelta sciagurata di dare la morte a molte milioni di persone
colpevoli solo di essere nate, occorre mobilitare proprio tutte le nostre
risorse intellettuali e materiali.
A me è capitato in passato di
essere invitata in alcune carceri per discutere anche con i detenuti della mia
esperienza nei campi di sterminio e sempre ho riscontrato interesse ed
attenzione e ne ho ricevuto stimoli e spunti di riflessione. Anche per questo
mi sono rafforzata nella convinzione che la società nel suo insieme, compreso
quindi un ambiente particolare come quello del carcere, deve riuscire a
produrre un unico indefesso sforzo di coltivazione della memoria e di crescita
civile ed umana.
Ma a proposito di detenzione ed
espressione artistica. Forse non tutti sanno che fra i molti artisti e
letterati internati e uccisi nei campi di sterminio nazisti, ve ne furono
alcuni che riuscirono a produrre opere e spettacoli, che in parte sono giunti
fino a noi e possiamo ancora oggi ascoltare o rappresentare a teatro. Accadde
infatti che negli inferni concentrazionari nazisti gli aguzzini mettessero
insieme bande musicali, gruppi coristici, rappresentazioni teatrali; a
Theresienstadt furono persino organizzate delle stagioni operistiche. Era un
modo diabolico di rendere davvero totalitaria quella realtà, cioè tale da
compromettere l’intera esistenza umana, materiale e spirituale appunto. Anche
per questo nell’opera di conservazione della memoria è importante recuperare il
senso autentico della musica, dell’arte, della cultura in genere. Esse
rappresentano infatti il meglio della personalità umana e il modo più efficace
per opporre alla barbarie totalitaria non solo una condanna di routine ma i
sensi di un superiore livello di civiltà e di dignità umana. Che anche nel
carcere si rifletta durante il Giorno della Memoria a partire da una
rappresentazione artistica è dunque cosa che dà fiducia e speranza per il
futuro.
Parlare di libertà su scena, con lo spettacolo “Una notte di Ottobre” per chi vive una esperienza di
restrizione, è una ovvietà da tenere lontana.
Al bello spettacolo dovuto alla regia di Alberto Anello, all’organizzazione dell’amico Francesco eche vi vede protagonisti (oggi ad Atri, domani sera a Ortona) ho sperato di poter partecipare sino a
stamane, quando è divenuto, per contingenti e inattesi motivi, impossibile.
E allora voglio congratularmi con voi. Ci tengo.
Sarò solo una voce in più, una “voce a distanza”, come scrittore, per Voci di dentro e vorrei solo
sottolineare, per il copione cui darete voce, lo straordinario valore aggiunto che può venire solo da
chi proviene da esperienze dolorose.
Solo voi potete sintonizzarvi con questo copione per dargli il giusto tono. “Una notte d’ottobre” non
potrebbe essere messo in scena, con altrettanta efficacia, da un attore professionista che sia vissuto e viva in un mondo lontano dalla sofferenza, dalla coscientizzazione e da un processo di maturazione profondo. Verrebbe falsato senza rimedio da un professionismo formatosi lontano dalla sofferenza.
Qui va in scena la vita.
Vanno in scena più vite.
E il grado di “riempimento” dei personaggi, il vostro calarvi nelle forme vuote per dar loro vita, può
venire solo da chi ha avvertito e avverte come limitata la propria vita. Perché? Perché nessuno come lui è in grado di riespanderla sul palcoscenico.
Tremila anni fa un grande poeta, Omero, parlando di Ulisse nel primo verso dell’Odissea, lo chiamò
“uomo dalle molte vite”, uomo dalla mente che percorre molte strade - e non una sola. Tremila anni fa, dunque in tempi di precarietà e violenza dell’esistenza inimmaginabili per noi, il pensiero greco era già arrivato a questa convinzione.
La violenza avrà sempre come nemica la apertura della mente. La discriminazione avrà sempre come nemica la mediazione rispetto all’altro. Il razzismo avrà sempre come nemica l’accettazione della sua diversità. Anche questo è il messaggio di “Una notte d’ottobre”.
Grazie a voi tutti per averlo portato in scena, come contributo alla memoria del male più ingiusto;
della violenza, della discriminazione e del razzismo. Il vostro messaggio e apporto sono preziosi, oggi, e con la parola “oggi” non intendo solo il Giorno della Memoria in arrivo. Intendo la immemore società contemporanea, la quale ha bisogno di denuncia e di testimonianza, affinché l’ingiusta, grandissima sofferenza di chi è vissuto prima di noi non resti senza parole.