“Una notte d’ottobre” è uno spettacolo teatrale prodotto da Voci di
dentro Onlus, tratto dal libro di racconti Quando si spengono le luci -
Storie dal Terzo Reich, edito da il Saggiatore, liberamente adattato da Carla
Viola e Alberto Anello, regia di Alberto Anello. E’ andato in scena la prima
volta con il titolo “Quando si spengono le luci” il 24 febbraio nel carcere di
Pescara, l’11 aprile all’Auditorium dell’Università D’Annunzio alla presenza dell’ambasciatore
di Israele Ofer Sachs e il 16 aprile al Teatro Circus di Pescara. La
preparazione di questo lavoro è durata un anno, il cast è composto da undici
detenuti della Casa circondariale di Pescara e sette volontari.
Tutto si svolge in una stazione di un piccolo paese
della Baviera poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale: un uomo con
una valigia scende dal treno e inizia a camminare nella confusione, in un via
vai di gente che si muove come se fosse in cerca di un riparo o in fuga da
quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è
già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Sulle note di
alcuni passi di J'y suis jamais allé di Yann Tiersen, sul palcoscenico
si alternano un forestiero, un commerciante, la moglie militante nel partito,
una coppia di fidanzati, un industriale, un giornalista, una cantante. I
personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime
direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo.
Vittime che scopriamo di scena in scena, come scene sono anche i racconti di
Erika Mann, racconti che sono quasi una cronaca giornalistica, storie vere che
svelano la menzogna propagandistica, generalizzata e martellante del regime.
Storie sul baratro di quella follia che riecheggia in tutti i momenti dello
spettacolo e che si concludono in una immane tragedia. Tragedia che forse si
sarebbe potuto evitare.
Tragedia che oggi viene lasciata alle spalle
(finita!?) come cosa passata ma nello stesso tempo, al contrario dei tanti
buoni propositi, riproposta da movimenti che agitano svastiche, che si
dichiarano razzisti e xenofobi, che rifiutano ed escludono sempre più
apertamente opinioni e culture diverse. In una continua escalation all’interno
di un ciclo cominciato da tempo dove l’esclusione di chi è povero, di chi viene
dal sud del mondo è ormai norma. Norma “perché siamo a rischio invasione” e che
ora viene disciplinata, organizzata e regolata secondo criteri che ci portano
al passato: i diritti da universali e indipendenti, astratti, tornano ad essere
delle regalie feudali, delle concessioni che chi ha concede a chi non ha. E
soltanto se è “utile”, come una cosa, come mezzo.
Emozione, tensione, paura, magia, illusioni: c’è
questo e tanto altro in questo atto unico. Un lavoro non facile: molti degli
interpreti sono stranieri con qualche difficoltà con la lingua italiana e tanti
sono dovuti essere sostituiti in più occasioni per via di trasferimenti e
uscite dall’Istituto per fine pena. Un lavoro non facile anche perché
realizzato dentro un carcere, luogo dove regole e tempi non sono certo uguali a
quelli che ci sono nella società esterna. Ma alla fine il risultato c’è stato.
Ed è un successo. Un grande successo: per il tema affrontato, per le riflessioni
che suscita, per l’emozione delle parole del testo e della musica, tra corse e
danze, e improvvisi rallentamenti. Dove il fantastico è unito e confuso alla
realtà dando luogo alla follia collettiva che investe uomini e donne sotto il
regime. Sotto qualunque regime.
“In questo paese è tutto cambiato. Non ci riconosciamo
più. Siamo tutti diventati nemici e rivali, rivali e nemici”. Queste parole
sono pronunciate dalla fidanzata dell’imprenditore tedesco. Lei è ebrea, lei
verrà denunciata dal suo uomo per evitare di finire denunciato a sua volta per
avere avuto rapporti con una ebrea. Sta in questo breve esempio il senso della
rappresentazione che abbiamo portato in scena. Cioè abbiamo voluto parlare
della violenza del regime, della sottrazione della libertà, e della
sopraffazione e di come ha cambiato le persone, facendole diventare una nemica
dell’altra e facendo scomparire amicizia e solidarietà. Agevolando così quella follia generale che ha dato il via all'Olocausto, allo sterminio di milioni di persone, persone trasformate in
nemici. E che potevano essere uccise perché non più viste come persone, ma come
delle cose. Un mezzo per raggiungere i propri fini.
Voci di dentro lavora con le persone detenute e
proprio con le persone che hanno compiuto dei reati ci è sembrato importante
affrontare questo tema, il tema appunto della violenza e della sopraffazione.
In carcere spesso ci sono persone che non hanno visto l’altro, non hanno visto
la persona, hanno visto l’altro unicamente come un mezzo per raggiungere i loro
fini, e che poteva essere tranquillamente derubato, rapinato, ucciso. Di nuovo
una cosa.
In questo senso questo nostro lavoro teatrale vuole
cioè essere un momento di studio, confronto e analisi perché l’uomo torni a
vedere l’altro come se stesso, come amico e non come nemico, come persona e non
come mezzo. Perché l’altro siamo noi.
Perché non ci potrà essere cambiamento se non c’è conoscenza e memoria e
se non c’è libertà.
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