Una notte d'ottobre


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MINICLIP from vocididentro on Vimeo.




sabato 26 maggio 2018

Miniclip dello spettacolo andato in scena all'Università d'Annunzio l'11 aprile. In quell'occasione si chiamava "Quando si spengono le luci". Il nuovo spettacolo che porteremo al Marrucino il 2 giugno (ore 21) ha per titolo "Una notte d'ottobre"

venerdì 25 maggio 2018

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Due giugno, Festa della Repubblica Italiana


Voci di dentro porta in scena alle ore 21 al Teatro Marrucino "Una notte d'ottobre” opera teatrale liberamente ispirata a “Quando si spengono le luci. Storie dal Terzo Reich” di Erika Mann con il patrocinio del Comune di Chieti, del Teatro Marrucino, della Fondazione Chieti, Abruzzo e Molise. Ingresso ad offerta libera. Per prenotazioni del posto contattare i volontari di Voci di dentro che saranno davanti al teatro e sul Corso Marrucino nei giorni precedenti all'evento, oppure scrivere a teatro@vocididentro.it
Il cast è composto da detenuti e volontari, sarà occasione per rilanciare solidarietà e rispetto  dell'altro.


Nella stessa giornata nell'ambito delle “Giornate della solidarietà” la Fondazione Chieti, Abruzzo e Molise apre il suo Museo Palazzo de’ Mayo con ingresso a offerta libera da devolvere in favore di Voci di dentro (altre giornate della solidarietà seguiranno nelle prossime settimane per altre associazioni attive in campo sociale e culturale). L'intento è quello di sensibilizzare la comunità verso temi poco conosciuti ai più e incentivare la pratica della donazione nell’ambito di uno spirito solidaristico che occorre quotidianamente rinvigorire. Il programma prevede apertura del Museo dalle ore 16 alle ore 20;  alle ore 17  nella sala Capozucco presentazione dello spettacolo teatrale “Una notte d'ottobre”.

2 GIUGNO ORE 21 - TEATRO MARRUCINO, CHIETI - info: teatro@vocididentro.it


lunedì 21 maggio 2018

PER INFO E PRENOTAZIONI: teatro@vocididentro.it


Vi aspettiamo il 2 giugno al Marrucino ore 21.00


 “Una notte d’ottobre” è uno spettacolo teatrale prodotto da Voci di dentro Onlus, tratto dal libro di racconti Quando si spengono le luci - Storie dal Terzo Reich, edito da il Saggiatore, liberamente adattato da Carla Viola e Alberto Anello, regia di Alberto Anello. E’ andato in scena la prima volta con il titolo “Quando si spengono le luci” il 24 febbraio nel carcere di Pescara, l’11 aprile all’Auditorium dell’Università D’Annunzio alla presenza dell’ambasciatore di Israele Ofer Sachs e il 16 aprile al Teatro Circus di Pescara. La preparazione di questo lavoro è durata un anno, il cast è composto da undici detenuti della Casa circondariale di Pescara e sette volontari.

Tutto si svolge in una stazione di un piccolo paese della Baviera poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale: un uomo con una valigia scende dal treno e inizia a camminare nella confusione, in un via vai di gente che si muove come se fosse in cerca di un riparo o in fuga da quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Sulle note di alcuni passi di J'y suis jamais allé di Yann Tiersen, sul palcoscenico si alternano un forestiero, un commerciante, la moglie militante nel partito, una coppia di fidanzati, un industriale, un giornalista, una cantante. I personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo. Vittime che scopriamo di scena in scena, come scene sono anche i racconti di Erika Mann, racconti che sono quasi una cronaca giornalistica, storie vere che svelano la menzogna propagandistica, generalizzata e martellante del regime. Storie sul baratro di quella follia che riecheggia in tutti i momenti dello spettacolo e che si concludono in una immane tragedia. Tragedia che forse si sarebbe potuto evitare.

Tragedia che oggi viene lasciata alle spalle (finita!?) come cosa passata ma nello stesso tempo, al contrario dei tanti buoni propositi, riproposta da movimenti che agitano svastiche, che si dichiarano razzisti e xenofobi, che rifiutano ed escludono sempre più apertamente opinioni e culture diverse. In una continua escalation all’interno di un ciclo cominciato da tempo dove l’esclusione di chi è povero, di chi viene dal sud del mondo è ormai norma. Norma “perché siamo a rischio invasione” e che ora viene disciplinata, organizzata e regolata secondo criteri che ci portano al passato: i diritti da universali e indipendenti, astratti, tornano ad essere delle regalie feudali, delle concessioni che chi ha concede a chi non ha. E soltanto se è “utile”, come una cosa, come mezzo.

Emozione, tensione, paura, magia, illusioni: c’è questo e tanto altro in questo atto unico. Un lavoro non facile: molti degli interpreti sono stranieri con qualche difficoltà con la lingua italiana e tanti sono dovuti essere sostituiti in più occasioni per via di trasferimenti e uscite dall’Istituto per fine pena. Un lavoro non facile anche perché realizzato dentro un carcere, luogo dove regole e tempi non sono certo uguali a quelli che ci sono nella società esterna. Ma alla fine il risultato c’è stato. Ed è un successo. Un grande successo: per il tema affrontato, per le riflessioni che suscita, per l’emozione delle parole del testo e della musica, tra corse e danze, e improvvisi rallentamenti. Dove il fantastico è unito e confuso alla realtà dando luogo alla follia collettiva che investe uomini e donne sotto il regime. Sotto qualunque regime.

“In questo paese è tutto cambiato. Non ci riconosciamo più. Siamo tutti diventati nemici e rivali, rivali e nemici”. Queste parole sono pronunciate dalla fidanzata dell’imprenditore tedesco. Lei è ebrea, lei verrà denunciata dal suo uomo per evitare di finire denunciato a sua volta per avere avuto rapporti con una ebrea. Sta in questo breve esempio il senso della rappresentazione che abbiamo portato in scena. Cioè abbiamo voluto parlare della violenza del regime, della sottrazione della libertà, e della sopraffazione e di come ha cambiato le persone, facendole diventare una nemica dell’altra e facendo scomparire amicizia e solidarietà. Agevolando così quella follia generale che ha dato il via all'Olocausto, allo sterminio di milioni di persone, persone trasformate in nemici. E che potevano essere uccise perché non più viste come persone, ma come delle cose. Un mezzo per raggiungere i propri fini.

Voci di dentro lavora con le persone detenute e proprio con le persone che hanno compiuto dei reati ci è sembrato importante affrontare questo tema, il tema appunto della violenza e della sopraffazione. In carcere spesso ci sono persone che non hanno visto l’altro, non hanno visto la persona, hanno visto l’altro unicamente come un mezzo per raggiungere i loro fini, e che poteva essere tranquillamente derubato, rapinato, ucciso. Di nuovo una cosa.

In questo senso questo nostro lavoro teatrale vuole cioè essere un momento di studio, confronto e analisi perché l’uomo torni a vedere l’altro come se stesso, come amico e non come nemico, come persona e non come mezzo. Perché l’altro siamo noi.
Perché non ci potrà essere cambiamento se non c’è conoscenza e memoria e se non c’è libertà.

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per informazioni/prenotazioni scrivere a: teatro@vocididentro.it


domenica 20 maggio 2018

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Mini clip dello spettacolo andato in onda all'università l'11 aprile dal titolo: "Quando si spengono le luci" e che al Marrucino il prossimo 2 giugno si intitolerà "Una notte d'ottobre"


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rassegna stampa






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La scena si svolge in una stazione di una città di provincia. Alle ore nove di sera arriva un treno, un uomo con una valigia scende e inizia a camminare, s’inoltra in un via vai di gente. L’uomo si ferma spaventato da tutta quella confusione, infatti, è come se quelle persone cercassero un riparo o forse un esilio come autodifesa. Un andarsene da quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Per quanto riguarda il taglio di regia, considerato il periodo storico di ambientazione del testo, era preferibile utilizzare la formula della tecnica dello straniamento brechtiano che è sostanzialmente una tecnica relativa alla comunicazione. In sostanza in questo lavoro teatrale si individua chiaramente la natura costruttiva del linguaggio, un linguaggio che non è un semplice mezzo di comunicazione, ma un sostanziale produttore della realtà e che quindi la comunicazione non si limita a registrare una realtà data ma è uno dei fattori che la determinano. In sostanza gli attori non immedesimano completamente i personaggi ma conservano quel distacco che possa sollecitare una critica da parte del pubblico, che deve conservare la persuasione di trovarsi in teatro. La tecnica recitativa utilizzata è stata la gestica rispetto alla mimica, in quanto non c’era la necessità di manifestare un comportamento, ma evidenziare l’espressione di un sentimento, quindi una mediazione logica tra personaggi e pubblico. (Alberto Anello)
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Sono gli anni che preludono alla seconda guerra mondiale. Pervasa da un clima di sospetto e di totale asservimento alla propaganda che invoca costantemente devozione, sempre più cieca, all'ideologia nazista, la società tedesca paga a caro prezzo la rinuncia all'affermazione di ogni dissenso politico radicale. L'acquiescenza alle decisioni del potere costituito impone la cessazione delle libertà fondamentali a cui ogni uomo, per sua natura, aspira. Dall'esilio volontariamente scelto, Erika Mann abbraccia la letteratura militante come strumento di lotta politica e scrive le storie, tutte realmente accadute, che si dipanano in una piccola cittadina bavarese tra il 1936 e il 1938. Per stessa ammissione dell'autrice, i protagonisti dei fatti narrati non possono che essere gente comune: il commerciante, la moglie militante nel partito, una coppia di fidanzati, l’industriale. I personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo. È quello che accade contemporaneamente in tutto il Novecento nei Paesi europei e dove i regimi totalitari sono in lotta perenne contro i loro stessi popoli. Prendendo le mosse dal clima e dallo stato psichico di un'intera nazione nel Terzo Reich, lo spettacolo teatrale "Una notte d'ottobre", liberamente tratto dall'opera di Erika Mann, vuole essere un invito alla riflessione, sull'importanza di mantenere viva la memoria tra le nuove generazioni e tenere sveglia la coscienza contro il rischio che si ripetano i drammatici eventi storici che hanno seminato morte, paura e distruzione. (Carla Viola)