Una notte d'ottobre


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lunedì 28 gennaio 2019

Lettera al cast di “Una notte d’ottobre”. Per continuare

"Carissimi tutti, venerdì 25 gennaio al teatro di Atri e sabato 26 in quello di Ortona, il nostro “Una notte d’ottobre” si è trasformato in un’opera epica. La forza del copione (tratto da “Quando si spengono le luci” di Erika Mann) magistralmente reso dalla nostra Carla Viola e il genio del nostro regista e scenografo Alberto Anello si sono uniti alla dedizione e bravura di voi attori in scena. Non potrò mai sdebitarmi con tutti voi che avete reso possibile la rappresentazione del vero teatro: quello che educa e fa riflettere e che porta a una presa di coscienza critica della realtà e conseguentemente al cambiamento. Teatro per eccellenza che ha superato il dilettantismo per divenire arte.E questa arte è ciò che ha emozionato il pubblico presente nelle sale: pubblico attentissimo, mai distratto, concentrato in ogni parola, in ogni gesto, emozionato e poi fragorosamente libero, alla fine, di applaudire a più non posso, sciogliendo finalmente la tensione accumulata in poco più di un’ora di spettacolo. Applausi, l’avete visto bene, esplosi dopo la corsa finale verso la libertà, quella corsa che è scandita dalle vostre urla dove tutti insieme contate fino a otto. Otto come infinito – come ci ha ricordato Carla - come doppia porta dalla quale l’uomo rinasce dopo gli errori (come appunto gli errori delle persone che finiscono nel circuito della giustizia), e ancora come l’ottava lettera dell’alfabeto ebraico che significa terra, rifugio, salvezza. Perché questo è stato il nostro lavoro affinché la vita dentro il carcere esca dal carcere e riacquisti la sua dignità. Speranza non soggettiva, ma collettiva, generale.Come ha detto lo scrittore Giovanni D'Alessandro, c’è uno straordinario valore aggiunto nella rappresentazione portata a teatro: il fatto che questa nostra compagnia teatrale, nata in carcere frutto del lavoro come volontari di Voci di dentro, è composta da 16 detenuti. “Una notte d’ottobre” - dice infatti D’Alessandro - non potrebbe essere messo in scena, con altrettanta efficacia, da un attore professionista che sia vissuto e viva in un mondo lontano dalla sofferenza, dalla coscientizzazione e da un processo di maturazione profondo. Verrebbe falsato senza rimedio da un professionismo formatosi lontano dalla sofferenza. Qui va in scena la vita. Vanno in scena più vite. E il grado di “riempimento” dei personaggi, il vostro calarvi nelle forme vuote per dar loro vita, può venire solo da chi ha avvertito e avverte come limitata la propria vita”. Credetemi, sono parole che mi riempiono di soddisfazione: colgono nel segno, indicano perché il nostro “Una notte d’ottobre” è stato ed è arte.E con questo mio testo mi voglio rivolgere ora in particolare agli attori detenuti che da due anni si sono impegnati in questa straordinaria compagnia di teatro che è una delle tante attività che Voci di dentro da almeno dieci anni ha messo in piedi nel carcere di Pescara e in quello di Chieti. E’ vero, siete stati splendidi perché conoscete - come dice D'Alessandro - la sofferenza. Sofferenza che avete sulla pelle. Ma, e questo va detto e non va dimenticato, sofferenza che avete anche arrecato nel vostro agire, nelle vostre scelte per il vostro interesse, per il vostro personale profitto. Ma è il passato. E il passato deve passare. Io vi ho visti in scena, vi ho visti adesso, dopo mesi di prove, ho visto che questo testo di “Una notte d’ottobre” vi ha dato la possibilità di trasformarvii nei protagonisti del vostro cambiamento. Questo testo, questa rappresentazione ha cioè determinato la possibilità per voi di spogliarvi da voi stessi, dallo stigma assunto per difesa e per offesa, e di non vedervi più al centro della scena della vita (e neppure al centro del mondo). Nella finzione della scena eravate il popolo tedesco sotto il regime, vittime e carnefici insieme, piano piano siete usciti da voi (dal rappresentarvi e mostrarvi come detenuti) e siete diventati l’altro e avete visto la sofferenza dell’altro. Eccolo dunque l’effetto del nostro teatro, del nostro “una notte d’ottobre”: coscientizzazione e maturazione.Cari tutti, chiudo e faccio mie le parole di Giovanni D’Alessandro: “La violenza avrà sempre come nemica la apertura della mente. La discriminazione avrà sempre come nemica la mediazione rispetto all’altro. Il razzismo avrà sempre come nemica l’accettazione della sua diversità. Anche questo è il messaggio di “Una notte d’ottobre”. Grazie a voi tutti per averlo portato in scena, come contributo alla memoria del male più ingiusto; della violenza, della discriminazione e del razzismo. Il vostro messaggio e apporto sono preziosi, oggi, e con la parola “oggi” non intendo solo il Giorno della Memoria in arrivo. Intendo la immemore società contemporanea, la quale ha bisogno di denuncia e di testimonianza, affinché l’ingiusta, grandissima sofferenza di chi è vissuto prima di noi non resti senza parole”.
FRANCESCO LO PICCOLO

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La scena si svolge in una stazione di una città di provincia. Alle ore nove di sera arriva un treno, un uomo con una valigia scende e inizia a camminare, s’inoltra in un via vai di gente. L’uomo si ferma spaventato da tutta quella confusione, infatti, è come se quelle persone cercassero un riparo o forse un esilio come autodifesa. Un andarsene da quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Per quanto riguarda il taglio di regia, considerato il periodo storico di ambientazione del testo, era preferibile utilizzare la formula della tecnica dello straniamento brechtiano che è sostanzialmente una tecnica relativa alla comunicazione. In sostanza in questo lavoro teatrale si individua chiaramente la natura costruttiva del linguaggio, un linguaggio che non è un semplice mezzo di comunicazione, ma un sostanziale produttore della realtà e che quindi la comunicazione non si limita a registrare una realtà data ma è uno dei fattori che la determinano. In sostanza gli attori non immedesimano completamente i personaggi ma conservano quel distacco che possa sollecitare una critica da parte del pubblico, che deve conservare la persuasione di trovarsi in teatro. La tecnica recitativa utilizzata è stata la gestica rispetto alla mimica, in quanto non c’era la necessità di manifestare un comportamento, ma evidenziare l’espressione di un sentimento, quindi una mediazione logica tra personaggi e pubblico. (Alberto Anello)
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Sono gli anni che preludono alla seconda guerra mondiale. Pervasa da un clima di sospetto e di totale asservimento alla propaganda che invoca costantemente devozione, sempre più cieca, all'ideologia nazista, la società tedesca paga a caro prezzo la rinuncia all'affermazione di ogni dissenso politico radicale. L'acquiescenza alle decisioni del potere costituito impone la cessazione delle libertà fondamentali a cui ogni uomo, per sua natura, aspira. Dall'esilio volontariamente scelto, Erika Mann abbraccia la letteratura militante come strumento di lotta politica e scrive le storie, tutte realmente accadute, che si dipanano in una piccola cittadina bavarese tra il 1936 e il 1938. Per stessa ammissione dell'autrice, i protagonisti dei fatti narrati non possono che essere gente comune: il commerciante, la moglie militante nel partito, una coppia di fidanzati, l’industriale. I personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo. È quello che accade contemporaneamente in tutto il Novecento nei Paesi europei e dove i regimi totalitari sono in lotta perenne contro i loro stessi popoli. Prendendo le mosse dal clima e dallo stato psichico di un'intera nazione nel Terzo Reich, lo spettacolo teatrale "Una notte d'ottobre", liberamente tratto dall'opera di Erika Mann, vuole essere un invito alla riflessione, sull'importanza di mantenere viva la memoria tra le nuove generazioni e tenere sveglia la coscienza contro il rischio che si ripetano i drammatici eventi storici che hanno seminato morte, paura e distruzione. (Carla Viola)